16 giugno 2020 - 11:30

Scontro al confine India-Cina, uccisi venti soldati indiani

Sono i primi morti da 40 anni nella zona himalayana contesa tra le superpotenze asiatiche. Pechino non conferma le vittime

di Guido Santevecchi

Scontro al confine India-Cina, uccisi venti soldati indiani
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Dal nostro inviato
Tianjin Venti soldati indiani sono stati uccisi lunedì notte in uno scontro di confine con militari cinesi in una remota area del Kashmir, la Valle di Galwan nella regione di Ladakh dove da settimane c’erano tensioni. Sono i primi morti da quarant’anni nella zona himalayana contesa tra le potenze asiatiche. I due eserciti si sono combattuti in una guerra rapida e feroce nel 1962 e le forze indiane subirono una sconfitta umiliante. Da allora la tensione è rimasta forte, ma aveva provocato solo scaramucce tra pattuglie avanzate. Quella di lunedì potrebbe essere stata molto di più: anche i cinesi potrebbero aver avuto perdite che non vogliono ammettere.

New Delhi accusa Pechino di aver occupato un’area di 38 mila chilometri quadrati in una zona che soffre ancora l’eredità storica dei confini tracciati dall’impero britannico nel 1914 (si tratta di 3.488 chilometri che furono disegnati con un tratto di penna su mappe imprecise). Negli ultimi trent’anni, quando i due Paesi rivali si sono dedicati più alla crescita economica e all’interazione commerciale e meno ai giochi di guerra, si sono svolti numerosi round negoziali, sono state fatte molte promesse, sono stati firmati cinque trattati tra il 1993 e il 2013. Ma la soluzione non si è mai trovata. I due nazionalismi lo impediscono.

Di solito i reparti di confine, da una parte e dall’altra, evitano di portare armi, proprio per evitare scontri a fuoco. Le dispute sono finite più di una volta a sassate, colpi di vanga, insulti e spintoni mentre gli opposti reparti del genio cercavano di rubarsi terreno, costruendo sentieri e strade di penetrazione. L’ultima volta era successo a maggio, ma con l’attenzione fissa sul nemico invisibile coronavirus, nessuno aveva fatto caso alla scaramuccia nella zona himalayana di Ladakh (ci vuole la lente di ingrandimento per individuarla sulla carta geografica, se non si è esperti della regione).

Questa volta qualcuno, lunedì 15 giugno, ha sparato. Secondo la versione indiana tra i venti caduti c’è anche un ufficiale e anche i cinesi avrebbero subito perdite, non è stato precisato se morti o feriti. New Delhi dice che ora alti ufficiali delle due parti stanno cercando di calmare la situazione. Pechino non conferma le vittime e risponde che gli indiani lunedì hanno sconfinato e attaccato due volte l’avamposto cinese. «Truppe indiane nella notte del 15 hanno violato il consenso trovato tra le due parti nella zona sconfinando per due volte in modo provocatorio e attaccando il personale cinese», ha detto il portavoce degli Esteri a Pechino, concludendo che per la Cina «è stato uno choc».

A ottobre il grande viaggiatore globale cinese Xi Jinping andò in India, per un vertice informale con il primo ministro nazionalista Narendra Modi. I due leader si sono incontrati più volte e il problema dei confini è rimasto sempre di sottofondo, perché le due parti non ritengono davvero che la soluzione sia possibile. Gli osservatori dicono che i due si somigliano politicamente e si stimano. E che in questa fase di guerra commerciale aperta dagli Stati Uniti potrebbero trovare qualche forma di intesa. Sulla stampa cinese a ogni appuntamento Xi-Modi si sono letti commenti inneggianti alla formazione di «un fronte asiatico unito», si è auspicato che finalmente la grande Asia possa «parlare al mondo con una sola voce». Sembra un’ipotesi irrealizzabile. Quando erano sprofondate nella povertà, negli Anni 60, India e Cina riuscirono a combattersi per questioni territoriali lungo il confine himalayano. Con il boom economico sono diventate anche concorrenti nella crescita. Senza mai disinnescare i rancori di frontiera. Il sangue versato a Ladakh lo ricorda.

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