30 maggio 2019 - 18:18

Cannabis light, Cassazione: «È un reato venderla»: sono 800 i negozi in tutta Italia

Lo stop arriva dalle sezioni unite penali della Suprema Corte. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini - che aveva lanciato un’offensiva contro i negozi di cannabis light- soddisfatto: «Siamo contro qualsiasi tipo di droga, senza se e senza ma, e a favore del divertimento sano»

di Valentina Santarpia

Cannabis light, Cassazione: «È un reato venderla»: sono 800 i negozi in tutta Italia
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Per la Cassazione, la legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti «derivati dalla coltivazione della cannabis», come l’olio, le foglie, le inflorescenze e la resina. Lo ha hanno deciso le sezioni unite penali della suprema corte che così danno uno stop alla vendita della «cannabis light»: a rischio chiusura circa ottocento negozi in tutta Italia. A inizio febbraio la Cassazione aveva stabilito che la vendita di prodotti a base di marijuana light era legale, annullando un sequestro avvenuto ai danni di un punto vendita. Stavolta il pronunciamento va in direzione opposta. A sollevare il caso davanti alla Suprema Corte è stata la quarta sezione penale, nell’ambito di un procedimento riguardante il sequestro effettuato nei confronti di un commerciante: il Riesame di Ancona aveva annullato il sequestro e il procuratore capo del capoluogo marchigiano si era quindi rivolto alla Cassazione.

Le motivazioni

La vendita della cosiddetta cannabis light è regolata da una legge del 2016 che ammetteva l’attività di coltivazione di canapa tra le piante agricole e elencava tassativamente i derivati da questa coltivazione che possono essere commercializzati. Secondo l’interpretazione che ne era stata fatta, era stato ammesso il commercio di prodotti a base di canapa purché il loro contenuto di Thc (vale a dire la sostanza che dà effetti psicotropi) fosse tra lo 0,2% e lo 0,6% (per fare un paragone, uno spinello «vero» contiene all’incirca il 5-8%). Invece adesso la Cassazione precisa che quella forbice di tolleranza non si riferiva ai prodotti ma al principio attivo della pianta coltivata e che la commercializzazione di cannabis «sativa L», «e in particolare di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge 242 del 2016». Quindi questi prodotti non possono essere venduti, in nessun caso, e restano regolamentati dal Testo unico sulle droghe, che li vieta tranne se sono «in concreto privi di efficacia drogante». Nel parere espresso a giugno 2018 già il Consiglio Superiore di Sanità scriveva che la vendita era definita «legale» impropriamente e stava vivendo una fase di crescita esponenziale avvalendosi di una apparente zona franca o grigia. Ora l’informazione provvisoria della Cassazione sembra mettere dei paletti severi. Ma bisognerà aspettare la sentenza completa- attesa nelle prossime settimane- per capire fino in fondo la portata della decisione e l’eventuale principio «drogante» consentito. Secondo l’esperto di cultura della canapa Matteo Gracis, direttore della rivista Dolce Vita, si tratta di un «passo indietro» che porterà alla chiusura delle aziende e delle attività commerciali legate alle cannabis light.

Le reazioni

Dopo la sentenza della Cassazione, soddisfatto il ministro dell’Interno Matteo Salvini,contrario ai negozi di cannabis light: «Siamo contro qualsiasi tipo di droga, senza se e senza ma, e a favore del divertimento sano». Sulla stessa linea il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana: «Questa decisione conferma le preoccupazioni che abbiamo sempre manifestato in relazione alla vendita di questo tipo di prodotti e la bontà delle posizioni espresse e delle scelte da noi adottate fino ad oggi». Anche Stefano Pedica (Pd) plaude alla decisione: «Non ci sono droghe di serie A e B. Sono tutte pericolose. Dietro il proibizionismo non c’è nessuna ipocrisia. A questo punto bisogna procedere in fretta alla chiusura dei negozi che vendono cannabis light». Secondo il Moige, il Movimento italiano genitori, ora bisogna «chiudere subito gli shop». Dello stesso parere Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia: «Basta perdere tempo: no alla droga, senza se e senza ma». Per Michele Anzaldi (Pd) la sentenza mette a rischio migliaia di posti di lavoro e rischia di mandare in bancarotta un intero settore commerciale. I Radicali parlano invece di sentenza «politica: ovvero in linea con il volere di un ministro che ha annunciato un’offensiva nei confronti della cannabis light». Sono « due le osservazioni» dei Radicali: «la legge che consente la coltivazione di canapa industriale non vieta espressamente la vendita di infiorescenze. In uno Stato di Diritto, ciò che non è espressamente vietato dalla legge è lecito. E ancora: parliamo di uno dei più promettenti settori dell’agricoltura italiana. Che in questi anni ha fatto registrare un’impennata». Coldiretti conferma: in cinque anni in Italia sono aumentati di 10 volte i terreni coltivati a cannabis sativa, passati dai 400 ettari del 2013 ai quasi 4000 stimati per il 2018 nelle campagne.

L’offensiva di Salvini

Il ministro Salvini aveva lanciato una battaglia contro i negozi di cannabis light un mese fa, sottolineando che avrebbe fatto chiudere tutti quelli che nascondevano centri di spaccio. Le prime tre chiusure erano state decise in provincia di Macerata: i titolari erano stati sorpresi a vendere inflorescenze di cannabis che superavano lo 0,6% consentito dalla legge. Dopo l’annuncio di Salvini, era arrivata la stretta del Viminale: una circolare del Capo di Gabinetto, Matteo Piantedosi, sollecitava i prefetti, i commissari di governo per le Province di Trento e Bolzano e il presidente della Giunta regionale della Valle d’Aosta, a sottoporre all’attenzione dei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica l’esigenza di «un’approfondita analisi del fenomeno, che tenga conto di tutti i fattori di rischio» legati alla commercializzazione.

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