sabato 11 aprile 2020
Mentre Italia e Malta chiudono ai salvataggi col pretesto della pandemia, nuova raffica di partenze: 4 ieri, 6 nei giorni precedenti. Si temono dispersi. Alan Kurdi allo stremo
Uno dei soccorsi dalla nave Alan Kurdi

Uno dei soccorsi dalla nave Alan Kurdi - Cédric Fettouche - Sea Eye

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Quattro barconi e nessun soccorso. Altri sei dati in pasto alle correnti nei giorni scorsi. E nella notte di Pasqua si teme una nuova strage nel Mediterraneo. L’appello di Papa Francesco, quel «nessuno si salva da solo» pronunciato il 27 marzo e rinnovato venerdì con il messaggio a Mediterranea, sembra caduto nel vuoto. Dopo gli applausi della politica, questa settimana Italia, Malta e perfino Libia hanno deciso di serrare i porti, mentre in acqua non c’è alcuna nave di salvataggio. E i trafficanti hanno fatto partire più di mille persone negli ultimi giorni.

Il ricatto libico si ripresenta con le modalità di sempre. «Dobbiamo fronteggiare gli attacchi di Haftar e non abbiamo equipaggiamento e risorse sufficienti anche per il controllo delle acque», spiega una fonte militare da Tripoli, lasciando intendere che serve altro denaro fresco per fermare le partenze, proprio mentre la nave Alan Kurdi si sta avvicinando alle acque territoriali italiane nessuno più può fermare né salvare i naufraghi.

«Quattro barche sono alla deriva nel Mediterraneo Centrale, due nell’area Sar maltese - ha confermato Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo -. Gli imperativi umanitari devono prevalere mentre si proteggono le comunità ospitanti».
Ieri la Alan Kurdi ha ricevuto rifornimenti di cibo dalla Guardia costiera italiana, ma il sovraffollamento a bordo, con oltre 150 persone, e il carburante che ormai scarseggia, non lasciano molta scelta all’equipaggio. Impossibile, inoltre, tornare indietro per tentare altri salvataggi nel Canale di Sicilia. Mentre a Lampedusa alcuni imprenditori hanno scritto alle autorità per chiedere che non venga permesso lo sbarco dalla nave tedesca.

«In una sola settimana, dal 5 all’11 aprile 2020, oltre 1.000 persone su più di 20 barche hanno lasciato la costa libica», spiega Alarm Phone, il servizio di emergenza per i naufraghi che da lunedì ha ricevuto chiamate da 10 imbarcazioni. Due sono state soccorse dalla Alan Kurdi. Altre 500 persone sono state respinte in Libia in soli tre giorni. Inoltre, la sorte di alcune barche rimane poco chiara».

Ieri pomeriggio si contavano almeno 4 barconi senza alcun soccorso: 47 persone in area di ricerca e soccorso di competenza maltese, 55 in acque internazionali, 85 alla deriva in un tratto imprecisato e un quarto gommone con almeno 70 persone alla deriva in acque libiche. Circa 250 migranti per i quali è stato chiesto un intervento, ma nessuna nave fino alla serata di ieri sembrava essersi mossa per le operazioni di ricerca. Numerosi voli dell’agenzia europea Frontex e di altre forze aeree internazionali sono stati segnalati per tutto il giorno nel Canale di Sicilia e non si esclude che, come oramai avviene da almeno due anni, possano aver segnalato alla cosiddetta Guardia costiera libica il punto di recupero dei migranti.

A metà settimana un’altra imbarcazione con 66 persone a bordo, già nella zona Sar Maltese, era stata soccorsa 40 ore dopo aver chiesto aiuto. Alcuni superstiti hanno raccontato che le Forze armate di Malta avrebbero tentato di tagliare il cavo del motore: «Vi lasciamo morire in acqua. Nessuno raggiungerà Malta».

Contro la decisione del governo italiano, che ha disposto la chiusura dei porti a tutte le navi di salvataggio straniere (senza però riuscire a impedire gli sbarchi spontanei che hanno portato sulle nostre coste 200 persone solo questa settimana) si sono espresse le organizzazioni umanitarie. Nel provvedimento interministeriale viene citata la giurisprudenza sui diritti umani. Perciò Medici senza frontiere, Open Arms, Sea Watch e Mediterranea si sono rivolte al commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa (organismo da cui dipende la Corte europea dei diritti dell’uomo). «Si chiede ora al Commissario di voler intervenire nell’ambito delle sue competenze al fine di chiarire – è l’appello delle Ong – che i diritti delle persone salvate in mare devono essere garantiti».
La tensione nel Canale di Sicilia è altissima. Malta e Italia si sono dichiarati «luogo non sicuro» a causa della pandemia. Tripoli si è accodata, pur senza una dichiarazione ufficiale, mandando un chiaro messaggio all’Europa, che aveva affidato alla Libia la cattura dei migranti in mare fornendo equipaggiamento e stanziamenti.

Frattanto non si spegne l’eco internazionale della lettera con cui Papa Francesco si è rivolto a Mediterranea e resa nota da Avvenire. «Siamo immensamente felici e grati della vicinanza che ancora una volta papa Francesco testimonia verso chi soffre perché rischia di essere abbandonato senza soccorso in mare o a subire torture e violenza nei campi libici», ha commentato Alessandra Sciurba, presidente di Mediterranea Saving Humans. «Speriamo che le parole del Santo Padre arrivino al cuore anche dei governanti che in queste ore - ha aggiunto - hanno chiuso i porti dell’Europa e dell’Italia all’umanità».

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