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LA STORIA

Pasolini a Ruda: trovata negli archivi del coro la sua prima poesia messa in musica

Uno spartito, manoscritto, emerso negli anni Novanta: la lirica in dialetto casarsese “Il cjant da li cjampanis”

Pier Paolo Gratton
2 minuti di lettura

L’attività di Pier Paolo Pasolini in Friuli non può e non deve essere circoscrtitta solo alla destra Tagliamento, al Casarsese. C’è anche una parte del Friuli orientale che, a cento anni dalla nascita, deve ricordare e rinverdire la sua memoria. In particolare il paese di Ruda che il poeta frequentò in alcune occasioni nella primavera del 1948 quando gli animi si infiammavano per le vicine elezioni politiche che avrebbero consolidato l’Italia democratica. Con l’amico pittore Giuseppe Zigaina, di Cerignano, Pasolini venne nel piccolo borgo friulano per alcuni comizi – il palco era formato da alcune casse di verdura – ma anche per vedere i manifesti che il pittore stava realizzando per la locale festa dell’Unità che si sarebbe svolta di lì a pochi mesi. Il tutto è ricordato dal poeta nel sesto poemetto de Le ceneri di Gramsci, dal titolo Quadri friulani, pubblicato nel luglio del 1955. Il poemetto è dedicato al pittore e in esso Pasolini ritorna sul paesaggio friulano e sul popolo “di braccianti vestiti a festa” e, rivolgendosi all’amico, scrive: “L’amore di Ruda, gridato dal rosso palco di povere casse, rimane puro nella tua vita. E chi, scosso dalla paura di non essere abbastanza puro aspira nel vento di primavera lo smosso sapore della morte, invidia il tuo sicuro espanderti nei solenni, festanti colori dell’allegria presente e del sereno futuro”.

Ma della presenza di Pasolini a Ruda ci sono anche altre testimonianze. Ad esempio quella di Luigi Gratton, allora poco più che un ragazzino. «Avevo sette anni e abitavo nella casa proprio di fronte all’attuale sede del comune. Avevamo un ampio solaio all’ultimo piano dell’abitazione dove Zigaina – allora allievo di mio zio Fioravante, pittore e docente alle scuole serali – stava preparando i ‘quadri’ per la festa dell’Unità. Mi ricordo che una sera Zigaina portò Pasolini a vedere quegli schizzi. Noi, una famiglia religiosissima, stavamo recitando il rosario. Mio padre lo interruppe per riprenderlo solo quando il “diavolo” lasciò l’abitazione. Già, il diavolo, poiché nell’infantile comune sentire popolare di allora il poeta era già il corruttore dei giovani, una persona da schivare. Purtroppo quei quadri, con alcune frasi di Pasolini, sono andati perduti. Nessuno sa che fine abbiano fatto».

Ma la presenza del poeta a Ruda trova conferme anche sul versante musicale. Negli anni Novanta del secolo scorso dall’archivio del Coro Polifonico è emerso uno spartito, manoscritto, che secondo Angela Felice, allora direttore del Centro Studi pasoliniani di Casarsa, sarebbe la prima poesia di Pasolini messa in musica. Si tratta della lirica in dialetto casarsese Il cjant da li cjampanis, brano per coro maschile musicato da Giuseppe Persoglia, di Ruttars di Dolegna dle Collio, sul finire degli anni Quaranta o inizi anni Cinquanta. Il musicista conosceva il poeta? Lo aveva incontrato a Ruda nel secondo dopoguerra già centro corale importante per tutto il Friuli e mèta di diversi autori? Non è possibile sapere. Certo è che il brano, rimesso in piedi da Fabiana Noro, attuale direttore del Polifonico sarà ripreso in un progetto su Pasolini a cura del Terzo teatro di Gorizia.

Pasolini e Zigaina a Ruda tra fede comunista, umori di popolo, espressività artistiche e speranze impossibili. In questi giorni mi è capitato tra le mani il libro Pasolini e la morte (Marsilio editori, 1987) nel quale il pittore cervignanese ipotizzava una diversa linea interpretativa sulla morte del poeta rispetto alla vulgata moraviana. “Egli – scriveva allora Zigaina sulla fine tragica di Pasolini all’idroscalo di Ostia – “voleva la morte mitica dell’eroe perché solo la morte dell’eroe è uno spettacolo, e solo essa è utile”. Forse in quest’anno pasoliniano sarebbe necessario scandagliare in modo più profondo questa tesi, cioè la morte cercata e voluta, sulla fine del poeta. Anche per evitare inutili e inconcludenti luoghi comuni.

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