Sostenibilità aziendale

Incentivi ESG: vera sostenibilità o espediente per aumentare i bonus?

Inserire i fattori ESG nelle componenti utilizzate per calcolare i bonus per i top manager è una pratica che viene da tempo auspicata per allineare la strategia delle società agli obiettivi di sostenibilità. Eppure alcune recenti analisi lanciano il sospetto che in alcuni casi parametri legati a tematiche di sostenibilità vengano inseriti per riuscire a ottenere bonus che sarebbero venuti a mancare sulla base di elementi più tradizionali.

Secondo un’analisi della società senza scopo di lucro The Conferenze Board e della società di ricerca Esgauge, oramai tre quarti delle società dell’S&P 500 hanno incorporato parametri ambientali, sociali e di governance che contribuiscono alla retribuzione dei dirigenti, rispetto a due terzi delle società nel 2021. Questa tendenza, come sottolinea il Financial Times, è accompagnata da un’altra, che ha visto una diminuzione, dal 2015, dell’importanza dei fattori retributivi legati alla redditività e alle questioni aziendali a livello globale. 

Eppure, nonostante l’importanza che le questioni ESG hanno assunto negli ultimi tempi per stabilire i bonus dei dirigenti, diversi asset manager si dicono scettici riguardo all’utilizzo dei fattori ESG a scopo di compensazione, perché a loro avviso potrebbero essere scelti parametri non così oggettivi o rilevanti e in grado di essere facilmente manipolati.

Viene citato come esempio il caso della compagnia aerea americana Southwest dove l’amministratore delegato Robert Jordan ha ottenuto un incremento del 76% della retribuzione a 5,3 milioni di dollari lo scorso anno nonostante la compagnia avesse fatto imbufalire i passeggeri cancellando oltre 16.700 voli durante la stagione delle vacanze. Eppure, nonostante queste problematiche operative abbiano influenzato negativamente i bonus, nel complesso questi ultimi sono schizzati all’insù grazie a un ottima performance della società per quanto riguarda i parametri DEI (diversity, equity e inclusion). Un effetto considerato paradossale da molti investitori che questionano la non materialità di alcuni parametri considerati e la loro facile raggiungibilità.

Ciononostante, la tendenza di un aumento dei fattori ESG nella determinzazione dei bonus contro un netto calo di quelli legati alle metriche di business e alla profittabilità è evidente. Secondo i dati di ISS ESG global executive compensation analytics dataset, i parametri tradizionali legati alla profittabilità sono passati da oltre il 60% delle società nel 2015 a poco più del 40%, nel 2022, mentre nello stesso arco di tempo quelle che considerano nel calcolo dei bonus elementi ESG sono passati da poco meno del 5% a circa il 20%.

Secondo i dati di The Conferenze Board e Esgauge, quasi 200 dirigenti delle società che compongono l’indice S&P 500 hanno un sistema di misurazione della retribuzione basato sulle metriche ESG nel 2022 (in aumento rispetto ai due terzi del 2021). Eppure, come emerge da un’analisi di gennaio 2023 di alcuni ricercatori di Harvard, a differenza dei parametri finanziari legati agli utili o all’andamento del prezzo delle azioni, è difficile stabilire con certezza se i parametri di retribuzione ESG siano effettivamente utili contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, o siano più di facciata, ovvero volti a riempire le tasche dei Ceo.

Come scrive il Financial Times riportando i risultati dei ricercatori di Harvard, la società di carte di credito American Express ha pagato il 15% dei bonus annuali dei dirigenti per i risultati ottenuti in termini di diversità, talento e cultura. Ma non è chiaro come verranno raggiunti questi risultati. In particolare, non è chiaro se ci sia un obiettivo quantitativo o se un qualsiasi aumento (anche insignificante, come ad esempio l’inserimento di una sola donna) sarebbe sufficiente.

Il punto tuttavia non è il concetto di inserire elementi ESG nel calcolo dei bonus ma di quali elementi vengono scelti, della loro rilevanza, quindi della loro materialità, e dell’oggettività della loro misurazione, nonché dei target posti. Certo è che se si pone l’asticella bassa su un parametro facilmente ottenibile tutto il sistema viene messo in discussione. Secondo i dati di Semler Brossy riportati dal FT i parametri più in voga sono quelli della diversità ed inclusion, mentre quelli della carbon footprint, dell’efficienza energetica e della riduzione dei rifiuti, seppur in crescita, sono molto meno presi in considerazione.

E in Italia? Anche nel nostro paese le società hanno iniziato a inserire dei target ESG per la remunerazione dei dirigenti, in alcuni casi, secondo gli analisti, anche in modo virtuoso. “Uno dei principali benefici derivanti dall’inserire obiettivi ESG negli incentivi di remunerazione del top management è permettere lo spostamento dell’orizzonte temporale verso il lungo periodo. Se i parametri economico finanziari hanno spesso un orizzonte di breve/medio periodo” osserva Piero Munari, co-founder e managing partner di Arwin e Partners, “quelli ESG supportano invece una visione di lungo periodo, in linea con le tempistiche dei piani per la transizione. In Italia c’è una progressiva adozione di questi KPI da parte delle aziende anche nei piani di incentivazione. Tradizionalmente i primi ad adottare queste pratiche sono le società del settore energetico e le utility, ma da noi anche le banche, le assicurazioni e gli industriali sono molto attivi. Per tradizione e per cultura siamo un Paese estremamente attento alle tematiche della sostenibilità”.