America-Cina | la newsletter del Corriere della Sera
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Giovedì 09 luglio
editorialistadi Simone Sabattini
Buongiorno,
sul «Corriere» in edicola oggi il nostro corrispondente da Washington Giuseppe Sarcina ha intervistato Anthony Fauci, da qualche mese l'immunologo più famoso del mondo. Trovate l'intervista qui (e qui in versione inglese). In questa newsletter vi raccontiamo qualcosa in più di lui, dei medici italiani che ha formato e dell'appello perché non vengano lasciati senza fondi. Nel frattempo, da Tulsa, arrivano notizie preoccupanti: come in tanti immaginavano, a distanza di due settimane dal comizio di Donald Trump i contagi da coronavirus hanno fatto segnare un'impennata in Oklahoma.

Ma anche oggi è una giornata importante e rischiosa per il presidente americano: tra poche ore la Corte Suprema deciderà se le sue dichiarazioni fiscali debbano essere consegnate al Congresso. Potrebbe profilarsi un nuovo grosso conflitto istituzionale.

Intanto in Cina rischia di approfondirsi il fossato tra Hong Kong e il resto del mondo: Guido Santevecchi ci ragguaglia sulla possibile fuga dei grandi social network e sul buio che potrebbe calare nella ex colonia. Tutto questo mentre Pechino lancia segnali distensivi verso gli Stati Uniti, attraverso un ministro molto elegante e molto serio.

Parliamo anche di nuovi patti in Medio Oriente, di George Floyd e Colin Kaepernick, di furti di Rolls Royce e della statua di Melania Trump (butta male anche per lei).

Buona lettura.

La newsletter AmericaCina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Chi non è iscritto, potrà usufruirne per un periodo di prova di 30 giorni, registrandosi qui. Potete anche scriverci per osservazioni, domande e suggerimenti all'indirizzo: americacina@corriere.it
1. Il dottor Fauci quando era il fattorino Tony. E quell’appello all’Italia: «Ho formato tanti vostri medici, non dimenticateli»
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Un giovane dottor Anthony Fauci, quando già lavorava al National Institutes of Health.
editorialista
di Giuseppe Sarcina
corrispondente da Washington

Gli allievi italiani di Fauci. A margine dell’intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera, Anthony Fauci ha parlato un po’ del suo rapporto con l’Italia. Prima i ricordi personali: «La mia famiglia viene dall’Italia. I miei bisnonni sia da parte di mio padre che dalla parte di mia madre arrivarono negli Stati Uniti all’inizio del Ventesimo secolo. Tuttora ho molti amici in Italia».

Fauci, 79 anni, è nato a Brooklyn. Suo padre possedeva una farmacia che impegnava tutta la famiglia. La madre e la sorella stavano al banco. Tony faceva le consegne nel pomeriggio quando era un liceale e poi tra un esame e l’altro alla Cornell University Medical College. Ha sempre lavorato per il governo. A 28 anni entra nel National Institutes of Health e a 44 anni diventa direttore del National Institute of Allergy, carica che conserva tuttora.


Il virologo della task force Covid è un punto di riferimento per la comunità medica internazionale. In particolare per quella italiana: «Ho formato molti scienziati italiani che sono venuti a lavorare per un certo periodo di tempo nei miei laboratori. Alcuni sono tornati in Italia e si trovano in posizioni di responsabilità in diverse città, come Genova, Roma, Firenze, Bari o Milano. Penso che i ricercatori italiani siano molto bravi e, comunque quelli che hanno lavorato con me erano eccezionali. Gli scienziati del vostro Paese mi raccontano che il Paese non assicura sufficiente sostegno finanziario alle loro attività. Beh, spero che ora il vostro governo lo faccia».

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2. Due settimane dopo il comizio di Tulsa, arriva il picco in Oklahoma. E l’America è senza mascherine
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La folla al Bok Center di Tulsa, Oklahoma, per il comizio di Donald Trump del 20 giugno (Ap)
editorialista
di Andrea Marinelli

A distanza di due settimane, si è verificato quello che temevano in molti: il comizio tenuto da Trump a Tulsa, in Oklahoma, il 20 giugno e le contemporanee manifestazioni di protesta organizzate fuori dal Bok Center in cui il presidente ha incontrato circa 7 mila elettori «hanno probabilmente contribuito» a diffondere il coronavirus, ha affermato il direttore del dipartimento per la Sanità della contea Bruce Dart.

  • Lunedì i contagi confermati sono stati 261, nuovo record della contea, e il giorno successivo ne sono stati registrati 206: la settimana precedente al comizio del presidente, nota l’Associated Press, erano stati 76 e 96.
  • «Negli ultimi giorni abbiamo avuto circa 500 nuovi casi, proprio due settimane dopo che in città si sono tenuti raduni di grandi dimensioni», ha spiegato il dottor Dart. «Credo basti congiungere i puntini».
  • E così, martedì l’Oklahoma ha raggiunto il proprio picco, con 858 nuovi casi che portano il totale dello Stato a 17.893, con 407 morti.

Nel Paese intanto si riempiono le terapie intensive, in particolare in Texas e Arizona, e aumentano i contagi, che mercoledì— quanto ne sono stati segnalati 59.400 in tutti gli Stati Uniti — hanno ritoccato il record giornaliero nazionale per la quinta volta in nove giorni.

  • La curva s’impenna, ma l’America è di nuovo a corto di mascherine, camici e guanti. «Si ripete il problema frustrante che ci ha perseguitati nei primi mesi della crisi», scrive il Washington Post, raccontando di infermieri costretti a riutilizzare le mascherine N95 per giorni, a volte settimane, e di dottori che non possono riaprire gli ambulatori a causa dell’assenza di materiale protettivo.
  • I funzionari della Casa Bianca sostengono che il problema sia esagerato dai media, a cominciare dal vicepresidente Mike Pence che però ha annunciato le linee guida del Governo per la conservazione e il riutilizzo di materiale protettivo.

3. Donald e le tasse: un altro schiaffo dalla Corte Suprema?
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Il presidente Donald Trump prima delle elezioni aveva detto che avrebbe reso pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi. Ma poi non lo ha fatto. Ora potrebbero costringerlo i giudici supremi (foto Epa)
editorialista
di Massimo Gaggi

Tempi difficili per Donald Trump tra popolarità in forte calo, molta disaffezione anche tra i conservatori moderati e la raffica di libri-memoriale che lo demoliscono come presidente e come uomo, da quello dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton a quello di sua nipote Mary Trump, mentre ora finisce nel mirino anche la moglie Melania. Oggi le cose potrebbero ulteriormente complicarsi per lui se la Corte Suprema deciderà che il presidente deve consegnare le sue dichiarazioni dei redditi come chiesto dal Congresso e dai magistrati che stanno indagando su un possibile uso improprio dei fondi della campagna elettorale 2016 (forse spesi, ad esempio, per comprare il silenzio di un’amante). La Corte ha esaminato il caso e dovrebbe annunciare la sua decisione alle 16, ora italiana.

  • Trump si descrive sempre come un imprenditore di successo che ha creato un impero del valore di parecchi miliardi. La storia, parla, però, di quattro dichiarazioni di bancarotta e il sospetto è che di tasse l’immobiliarista ne abbia pagate sempre molto poche.
  • Nel suo libro, Mary Trump scrive il patriarca della famiglia, Fred, era un maestro nel costruire operazioni per aggirare il Fisco e che Donald ha imparato dal padre ad adottare uno stile di vita basato sull’imbroglio.
  • Prima delle elezioni del 2016 Trump aveva promesso di rendere pubblica la sua situazione fiscale, ma poi, una volta eletto, ci ha ripensato sostenendo che un presidente in carica non può essere sottoposto ad alcuna indagine. In effetti Trump non può essere obbligato per legge a mostrare quante tasse ha pagato, ma da almeno mezzo secolo i presidenti pubblicano le loro dichiarazioni dei redditi.
  • Dopo anni di citazioni della magistratura ordinaria e delle Commissioni parlamentari, la questione è arrivata al giudizio di una Corte Suprema a maggioranza conservatrice, ma che nelle ultime settimane ha preso diverse decisioni che hanno lasciato l’amaro in bocca a Trump.
  • L’assenza di una norma specifica potrebbe giocare a favore del presidente, ma i precedenti gli sono contrari: nelle uniche due volte nelle quali la magistratura costituzionali è stata chiamata a intervenire sulla Casa Bianca ha dato torto ai presidenti. È successo negli anni Settanta quando Richard Nixon venne costretto a consegnare i nastri delle conversazioni sullo scandalo Watergate registrati nello Studio Ovale e poi alla fine degli anni Novanta quando venne autorizzato un procedimento contro Bill Clinton per abusi sessuali.

4. Il muro che si alza a Hong Kong è anche tecnologico: chiamatelo «decoupling»
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Ragazzi di Hong Kong, dove i grandi social americani ora valutano il ritiro (Ap)
editorialista
di Guido Santevecchi
corrispondente da Pechino

In Cina c’è il Great Firewall, la Grande Muraglia della censura che oscura social network e stampa occidentale: inaccessibili da anni Google, Facebook, Twitter, WhatsApp, New York Times, Washington Post, Bbc, tra gli altri. Hong Kong era rimasta un’isola di libertà. Ora è calata la nuova Legge sulla sicurezza nazionale cinese. Che ancora non oscura i giganti globali della comunicazione, ma esige che rimuovano post «secessionisti, sovversivi, terroristici o collusi con l’estero» e consegnino alla polizia segreta cinese e a quella della City i dati degli utenti, i loro movimenti, i loro contatti.

  • Facebook, Twitter, Google, Zoom e LinkedIn hanno annunciato una «pausa»: ancora non riversano i dati dei loro server nelle mani della polizia, aspettano un caso concreto di richiesta da parte dei cinesi nell’ex colonia britannica per decidere la risposta. Potrebbero ritirarsi in massa, dando inizio al disaccoppiamento tecnologico (il decoupling minacciato dall’Amministrazione Trump).
  • I giganti della silicon Valley stanno valutando la loro esposizione legale alla giurisdizione cinese su Hong Kong (possibili arresti di personale nelle loro basi operative nel territorio cinese).
  • Hanno già fatto i conti economici: Hong Kong, con i suoi 7,5 milioni di abitanti vale meno dello 0,3 per cento del loro bacino di utenza globale. Ma il ritiro significherebbe staccare la spina alla libertà di parola a Hong Kong. Significherebbe accettare il principio Un Paese un Internet (censurato).
  • Molti attivisti democratici a Hong Kong stanno cancellando le loro tracce dal web, chiudendo account Twitter e Facebook. Il Great Firewall ha già scatenato la grande paura della repressione poliziesca.

5. Gli ultimi 20 sospiri di George Floyd
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Da 20 erano anche le banconote (contraffatte, secondo l’avvocato di uno degli agenti) che sono costate a George Floyd il tentativo d’arresto e, in seguito, la morte (nella foto diffusa dalla Hennepin County District Court le banconote trovate sul sedile della sua auto)

(Andrea Marinelli) Ha gridato «I cant’ breathe» — non respiro — almeno 20 volte George Floyd, prima di morire a Minneapolis sotto il ginocchio di un poliziotto bianco. Ha invocato la madre morta e i figli, chiedeva aiuto: «Mi uccideranno, mi uccideranno», ripeteva mentre l’agente Derek Chauvin, il 25 maggio, continuava a restare inginocchiato sul suo collo. «Basta parlare, basta urlare», gli intima a un certo punto l’agente Chauvin:«Ci vuole un sacco di ossigeno per parlare».

Gli ultimi istanti della vita di Floyd sono stati trasmessi dalle televisioni di tutto il mondo, visualizzate su milioni di telefonini. Da quelle immagini sono nate le manifestazioni contro la brutalità della polizia e per la giustizia sociale che hanno riempito le strade e le piazze di tutto il pianeta, ma l’intera conversazione avvenuta in quegli 8 minuti e 46 secondi non era mai stata resa pubblica: la trascrizione del video registrato dalle body cam degli agenti è stata presentata ieri in tribunale dall’avvocato di uno dei quattro poliziotti — Thomas Lane, 37 anni — per scagionarlo dall’accusa di favoreggiamento e concorso in omicidio...

Leggi il servizio completo sul sito del Corriere

LA FOTO DEL GIORNO
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Nemmeno la statua della first lady americana Melania Trump (che si trova nella sua città natale di Sevnica, in Slovenia) è stata risparmiata dalle proteste: qualcuno l’ha data alle fiamme il 4 luglio.

(Andrea Marinelli) Una statua in legno di Melania Trump è stata bruciata nella notte del 4 luglio nei pressi di Sevnica, in Slovenia, città natale della first lady americana. La scultura, con il volto e la schiena anneriti dalle fiamme, è stata subito rimossa, come ha raccontato alla Reuters l’artista americano di stanza a Berlino Brad Downey, che lo scorso anno aveva commissionato il lavoro al collega sloveno Ales Zupevc: la first lady era stata scolpita con una motosega sul tronco di un tiglio, e la statua era stata installata un anno fa esatto.

«Voglio sapere perché lo hanno fatto», ha affermato Downey, 39 anni, spiegando che con il suo lavoro intendeva stimolare un dialogo e raccontare la storia di un’immigrata sposata a un presidente che si batte per fermare l’immigrazione. Avvertito dalla polizia domenica, Downey ha dichiarato di voler intervistare il colpevole, se mai sarà trovato, per il film che sta preparando in vista della mostra che aprirà a settembre in Slovenia.

6. Non avrete sorrisi da Wang. Ma il ministro sa «fornire gradini» (agli avversari)
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Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi il 19 febbraio scorso, durante una visita in Laos (Ap)

(Guido Santevecchi) La Cina non può essere e non vuole essere la nuova superpotenza globale, come gli Stati Uniti d’America, né vuole prendere il loro posto. Lo ha assicurato questa mattina il ministro degli Esteri di Pechino, l’elegante Wang Yi. Il diplomatico che non accenna mai un sorriso ha osservato che i rapporti Pechino-Washington sono al punto più basso da quando nel 1979 sono state riallacciate le relazioni diplomatiche. «Questo ci allarma, perché il rapporto tra i nostri due Paesi è il più importante al mondo», dice Wang Yi.

  • Secondo gli analisti il suo è un estremo appello a fermare la corsa verso il baratro offrendo una ripresa del negoziato. Jia Qingguo, preside di Relazioni internazionali alla Peking University, spiega che Wang ha fatto un esercizio di taijie, espressione mandarina che significa «dare gradini» all’avversario per consentirgli di risalire da una situazione pericolosa e irragionevole.
  • Il ministro ce l’ha messa tutta: ha giurato che «aggressione ed espansionismo non sono mai stati nei geni della nazione cinese, nei cinquemila anni della sua storia». Purtroppo, dice Wang Yi, spinti dal pregiudizio ideologico, alcuni americani dipingono la Cina come avversario o anche nemico, per contenerne lo sviluppo e minare le ralazioni sino-americane.
  • Conclusione del messaggio: «È falso dire che il percorso della Cina verso il successo sia una minaccia per l’Occidente. Noi non copiamo alcun modello straniero, non esportiamo il nostro, non chiediamo al alcun Paese di fare come noi. Perché la Cina non può e non vuole essere come gli Stati Uniti».

7. Patto di difesa tra Siria e Iran. Rivolto agli Usa, ma col pensiero a Israele (e Putin)
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Era il 25 febbraio 2019 e il presidente siriano Bashar Assad incontrava a Teheran il presidente Rouhani (a destra) e l’allora capo delle Forze Quds della guardia Rivoluzionaria iraniana, Qassem Soleimani (a sinistra). Soleimani è stato ucciso da un raid americano il 3 gennaio di quest’anno.
editorialista
di Guido Olimpio

Un patto per rafforzare la collaborazione militare Siria-Iran. È stato firmato ieri a Damasco e riguarda la difesa aerea dei due paesi. Le fonti ufficiali hanno presentato l’intesa come uno strumento «per resistere alle pressioni Usa». Tre i punti da sottolineare:

  1. È un segnale di come Damasco si muova tra Teheran e Mosca, cercando di ottenere il massimo dai due alleati, uniti dall’aiuto a Assad ma divisi dalle rispettive agende regionali.
  2. Target iraniani sul territorio siriano sono stati spesso colpiti dai raid israeliani nonostante la presenza di uno scudo missilistico russo. C’è il sospetto che Gerusalemme abbia il placet tacito di Putin per una parte di queste operazioni.
  3. Sono settimane difficili per gli ayatollah, con una serie di incidenti ed esplosioni in siti militari o strategici. Alcuni di questi episodi sarebbero azioni di Israele.

8. Elegia di Brooks Brothers, che ha portato i libri in tribunale
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Camicie e macchine da scrivere: Brooks Brothers era un mito anche per molti giornalisti. In «Tutti gli uomini del presidente» di Alan J. Pakula (1974) sicuramente le indossava Robert Redford/Bob Woodward, ma forse non Dustin Hoffman/Carl Bernstein, che era un po’ più trasandato.
editorialista
di Paolo Valentino

Vestivamo all’americana. Per chi è stato giovane negli Anni Ottanta e aveva l’America in testa, la notizia che Brooks Brothers sia tecnicamente in bancarotta è una lama nel cuore. Perché se negli Stati Uniti la maison d’abbigliamento fondata nel 1818 è stata il simbolo del Paese Wasp (White Anglo-Saxon and Protestant) e una specie di fornitore ufficioso di ben 40 presidenti americani, per noi è stata qualcosa di molto speciale. Era un modo di marcare una vicinanza ma anche una diversità. Prossimità con l’America che parlava alle nostre speranze, anche in pieno riflusso conservatore.

Diversità, nel senso che lo stile senza tempo di Brooks Brothers era uno statement che ci smarcava dalle mode e dallo Zeitgeist dei nuovi designer, quasi tutti italiani. Iconiche soprattutto erano (e sono, sia pure con qualche imperdonabile deroga slim fit dall’originale) le camicie button down, che BB’s aveva inventato nel 1896 e che erano diventate vero oggetto di culto. Erano state le camicie indossate dai fratelli Kennedy, dai professori liberal di Harvard o dai giornalisti del Washington Post impegnati nell’inchiesta Watergate...

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9. Netflix e Disney si sfidano anche su Kaepernick. Ma lui è sempre senza ingaggio
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Il gesto di qualche anno fa di Colin Kaepernick che ha poi ispirato tantissime proteste (Afp)
editorialista
di Flavio Vanetti

Sull’onda lunga della protesta per l’uccisione di George Floyd da parte della polizia di Minneapolis, torna più che mai alla ribalta Colin Kaepernick, colui che quattro anni fa, con un gesto diventato iconico, ha riproposto la questione della discriminazione razziale. Se oggi ci si inginocchia in memoria di Floyd, se si espongono cartelli e striscioni con la scritta «Black Lives Matter», è anche perché nel 2016 Colin Kaepernick, ex quarterback dei San Francisco 49ers di football, durante l’inno nazionale si mise in quella posizione e si rifiutò di alzarsi in piedi. Adesso anche la televisioni e le cosiddette docu-serie si occupano di lui. Anzi, nel breve giro di un paio di settimane, Kaepernick raddoppia.

Prima Netflix ha annunciato una serie sulla sua vita — ed è ragionevole immaginare che avrà successo, con la curiosità di parametrarlo rispetto a quello avuto da The Last Dance su Michael Jordan e i Chicago Bulls — poi Espn Films ha comunicato il lancio di un dettagliato documentario che rientra in un accordo con la Walt Disney Co. Si tratta di una produzione mirata soprattutto su storie legate alla razza, all’ingiustizia sociale, alla necessità che ci sia equità sul piano umano. La storia del giocatore di football sarà una sorta di asse portante rispetto ad altre vicende...

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Da tenere d’occhio:

  • (Andrea Marinelli) A settembre il più grande distretto scolastico d’America, quello di New York, non ripartirà a pieno regime: lo ha annunciato ieri il sindaco Bill de Blasio, specificando che per gli 1,1 milioni di studenti cittadini le lezioni in persona saranno limitate a uno o tre giorni alla settimana pur di limitare la diffusione del coronavirus. Non ripartirà neanche lo sport universitario, almeno fino a gennaio. È quanto hanno stabilito i presidenti degli otto atenei della Ivy League, prorogando la pausa dei campionati di football, basket ma anche di corsa campestre e vela. Potranno riprendere gli allenamenti, inizialmente a piccoli gruppi, ma le condizioni dovranno migliorare notevolmente per permettere di disputare la prossima stagione sportiva. «C’è solo una parola: speranza», ha risposto il coach di football di Princeton Bob Surace al giornalista del New York Times che domandava se ci fosse la possibilità di tornare a giocare almeno in primavera.
  • (Guido Olimpio) Pesca grossa nel porto di Savannah, Georgia. Dall’inizio dell’anno i doganieri hanno scoperto 40 auto di lusso rubate negli Usa e pronte ad essere spedite in Ghana, Libia, Giordania e Iraq(qui doveva finire una Rolls Royce). Gang bene organizzate usano gli scali sulla costa Est e Ovest come centri di smistamento delle loro prede.

Grazie per l’attenzione, passate un buon pomeriggio.

Ci risentiamo domani

Simone Sabattini

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